Il fenomeno delle compagnie mercenarie è una delle caratteristiche che contraddistinguono il XIV secolo, verso la fine del quale esso conoscerà sviluppi che avranno importanti ripercussioni nel secolo successivo.
Ad innescare il grande sviluppo delle compagnie mercenarie vi furono diversi fattori, innanzitutto le condizioni politiche dell'Italia e, in generale, dell'Europa. Lo scontro di parte fra guelfi e ghibellini e le loro fazioni interne si era acuito fra XIII e XIV secolo, rendendo necessario richiedere l'intervento di forze armate esterne, che, almeno in teoria, fossero estranee agli scontri intestini delle città. A Firenze, ad esempio, Dino Compagni menziona più volte la presenza di soldati romagnoli (la Romagna a lungo fu una delle maggiori "fucine" di mercenari) e catalani. Non solo. In questo periodo vari potentati iniziarono ad instaurare dei governi signorili, per consolidare i quali era preferibile fare affidamento su soldati professionisti esterni alla città su cui ci si voleva affermare. Un esempio è il caso di Uguccione della Faggiola, che tentò di divenire signore di Pisa servendosi di cavalieri tedeschi rimasti al suo servizio dopo la morte dell'imperatore Enrico VII.
Il Branca alla rocca di Montefiore Conca (RN). |
A ciò si aggiunga che anche nel resto d'Europa vi era una situazione propizia a chi intendesse lucrare sulle armi. Nel 1337 scoppiò la Guerra dei Cent'Anni fra Francia e Inghilterra, destinata a durare fino al 1453.
Una delle caratteristiche delle armi mercenarie in Italia per gran parte del Trecento fu quella di provenire da Oltralpe. Questo per varie ragioni. Innanzitutto l'area germanica vedeva la presenza di nobili che nei loro domini potevano reclutare soldati, i quali risultavano particolarmente efficienti. Questo è il caso di Guarnieri d'Urslingen (Werner von Urslingen), che fondò la celebre Grande Compagnia. Inoltre l'8 Maggio 1360 fu siglata la Pace di Brétigny, che poneva una tregua di nove anni alla guerra fra Francia e Inghilterra, cosa che provocò la "perdita di lavoro" per molti uomini d'arme, che dunque andarono alla ricerca di nuova occupazione in una terra dilaniata da conflitti fra piccoli Stati come l'Italia. Fra coloro che fecero questa scelta vi fu il famoso Giovanni Acuto (John Hawkwood) che giunse in Italia a capo della Compagnia Bianca.
Immagine tratta da Pixabay. |
I capitani di ventura erano veri e propri impresari della guerra, interessati ad ottenere il maggior lucro possibile con il minimo sforzo. E il fatto che a predominare fossero compagnie straniere creò non pochi svantaggi. Infatti queste, essendo lontane dalle loro terre natie, non potevano farvi ritorno durante la stagione invernale, quando le azioni militari venivano sospese. Dunque divenivano un peso non indifferente per le terre che li ospitavano, che erano regolarmente oggetto di saccheggio.
Gradualmente iniziarono ad affermarsi anche compagnie italiane. Una delle più precoci e famose fu la cosiddetta Compagnia del Cappelletto, capeggiata da Niccolò di Montefeltro. Possiamo qui citare anche il caso di Branca Brancaleoni da Casteldurante, il quale, dopo essere stato cacciato dai suoi possedimenti dal cardinale Egidio Albornoz, fu a Bologna al servizio della Chiesa col figlio Pierfrancesco. Ma il caso più significativo fu sicuramente quello del romagnolo Alberico da Barbiano, il quale fondò la Compagnia di San Giorgio, la quale si proponeva, almeno a livello di immagine, di combattere i soprusi delle soldataglie straniere. Al soldo del Barbiano, infatti, militavano solo italiani.
Quella del Brabiano, che seppe rivitalizzate l'uso della cavalleria, fu una vera e propria "scuola" dell'arte della guerra, presso la quale si formarono due nomi molto importanti e che furono altrettanto validi maestri per le compagnie del primo XV secolo. Uno di essi fu il perugino Braccio da Montone, che costituì il suo esercito a partire da un gruppo poco numeroso di esuli suoi concittadini, cosa che lo portò a sviluppare tattiche peculiari incentrate sull'alternanza delle truppe, in modo da avere sempre a disposizione uomini freschi. Non meno importante, vi era poi Muzio Attendolo Sforza, che dalla sua città, Cotignola, reclutava i propri uomini d'arme. Questi prediligeva le grandi manovre che gli permettevano di cogliere sui fianchi gli schieramenti nemici.
Un momento della battaglia di "Ferrara sotto assedio" (foto di Alessandro Arrighi). |
Le compagnie mercenarie erano vere e proprie imprese, attorno alle quali gravitava un universo molto variegato: dagli artigiani al servizio dei soldati ai contadini più o meno raccattati qua e là da mandare, all'occasione, in prima linea, dalle donne addette ai lavori domestici al notaio che siglava i contratti. I soldati erano divisi in lance, gruppi inizialmente costituiti da tre uomini (un cavaliere, un paggio e uno scudiero), ma che diventarono col tempo di numero più elevato e variabile. Altra caratteristica delle compagnie mercenarie era il forte spirito di corpo che le teneva unite. Inoltre tale contesto era uno dei pochi, all'interno di una società statica come quella medievale, in cui era possibile ottenere un certo grado di promozione sociale, arricchendosi sia tramite il soldo (il compenso pattuito con chi ingaggiava la compagnia) sia tramite la razzia.
Luca Onofri
Bibliografia di riferimento utilizzata:
- D. Balestracci, Le armi, i cavalli, l'oro. Giovanni Acuto e i condottieri nell'Italia del Trecento, Roma-Bari, Laterza, 2009
- N. Capponi, La battaglia di Anghiari. Il giorno che salvò il Rinascimento, Milano, Il Saggiatore, 2012
- D. Compagni, Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi, Milano, BUR, 2018
- L. Onofri, Dall'Appennino romagnolo a Montecatini. Note per una biografia politica di Uguccione della Faggiola, ⟪Alpe Appennia⟫ n. 4 (2021), pp. 37-56
- S. Spada, Condottieri di Romagna. I. Il Duecento e il Trecento, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2018
- W. Tommasoli, La vita di Federico da Montefeltro 1422/1482, Urbino, Argalìa, 1995
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